FIABE (1) -

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FIABE: Espressione più pura dei processi psichici
Premessa

Partiamo da un discorso generale e diciamo che le favole servono a dare un senso alla vita.
Favola e fiaba derivano dal verbo latino: fari = dire, raccontare. I due termini sono spesso usati indistintamente sebbene abbiano alcuni caratteri diversi.
La Favola ha funzione moralistica in cui le vicende che si narrano tendono a sottolineare le punizioni a cui va incontro chi trasgredisce le regole sociali, morali e religiose (U. Galimberti – Dizionario di Psicologia, vol.II, 1994); Fiaba, invece, tende a enfatizzare e a privilegiare l’affermazione del protagonista, la sua autodeterminazione.
Tenendo presente quanto appena detto, si useranno i due termini con il significato di Fiaba per comodità e con la medesima accezione, anche per non dover continuamente fare dei distinguo.
Le Fiabe fondono Sacro e profano traendo le basi del loro tramandarsi di generazione in generazione, da storie e leggende nate dai miti, dai culti religiosi e dai rituali magici trasmessi per tradizione orale, sebbene oggi le favole più che raccontate sono "viste" tramite dvd, o attraverso la proiezione in tv o sullo schermo cinematografico, o ascoltate con il lettore cd, di certo senza la presenza della "nonna", della "tata", di papà e di mamma che raccontano, le favole perdono un pò della loro magia.
Esopo - VI sec a.C - che essendo uno schiavo frigio non può definirsi un uomo colto, usava la forma narrante per raccontare le  sue fabulae che si concludevano sempre con un monito morale;  dalla produzione esopea trassero ispirazione altri narratori per quelli che in seguito sono divenuti i "racconti fiabeschi".
In Italia i favolisti che seguirono le tracce di Esopo sono stati Giambattista Basile con "Lo cunto de li Cunti", e Italo Calvino con "Fiabe italiane". Anche altri, ovviamente.
Nel XVIII secolo il pubblico attratto e interessato alle fiabe si attestava su una fascia di età adulta; erano gli adulti a trarre piacere nella lettura dei racconti favolistici e, d'altra parte, i bambini non partecipavano alla vita "dei grandi", non si riteneva che essi avessero un mondo fantastico, che fossero in grado di comprendere questi racconti e in ogni modo l'immagine che l'adulto aveva del bambino era equiparabile a quella del cucciolo di un animale.
In seguito, col prevalere della visione razionale della vita (cfr von Franz 1983) al cui polo opposto andava consolidandosi il rifiuto dell'irrazionale, le fiabe vennero usate quali racconti che le vecchie (nutrici, nonne) raccontavano ai bambini per dare loro divertimento.
Platone fu il primo a dare nome alle storie simboliche che si usava raccontare la sera intorno al braciere: Mythoi,connesse con l'educazione dei bambini.  Apuleio , nella tarda antichità (secondo secolo dopo Cristo) fu autore dell'Asino d'oro, una favola che ha fatto da modello ad una moderna fiaba: La bella e la Bestia.
Sono state ritrovate fiabe anche in papiri egiziani (una riguarda quella dei due fratelli Anubi e Bata) in cui si racconta di una bella cortigiana dal piedino piccolo e aggraziato che aveva perso una deliziosa pianella, modello per la moderna Cenerentola. Cosa sorprendente è che nonostante siano trascorsi millenni, i motivi di base delle fiabe non sono cambiati molto, sono stati, semmai, modificati solo nell'esteriorità adeguandoli alla cultura attuale, certamente non nella sostanzialità. 
Come ha sottolineato V.Propp le molte fiabe popolari giunte ai giorni nostri sono nate in epoca preistorica, precisamente nelle fasi di passaggio dalla società fondata sulla caccia alle prime comunità basate sull'agricoltura: attraverso i riti di iniziazione cui ragazzi, giunti alla pubertà, venivano sottoposti e grazie ai quali diventavano membri membri del gruppo degli adulti e acquisivano il diritto di contrarre matrimonio.
Questi riti di passaggio avevano un profondo significato simbolico realizzando la morte del fanciullo e la sua rinascita come persona adulta. Morte e rinascita - quest'ultima intesa come sopravvivenza nel mondo dell'aldilà - sono connesse a motivi religiosi antichi quanto lo è l'uomo stesso.
Questi riti si collegarono in seguito a racconti e diedero vita ai miti, alle leggende e alle fiabe.
Da tempo ormai e da più parti è andata consolidandosi la tesi che le favole sono la migliore risposta alle problematiche dei bambini. Offrono insegnamento, danno senso alle angosce e ai desideri coscienti o inconsci dei piccoli.
Sono Racconti in cui si proiettano i desideri, le ansie, le angosce e le paure che nelle fiabe trovano realizzazione.
I personaggi e gli ambienti sono fantastici – orchi, draghi, gnomi, fate, streghe, re, regina, castelli, boschi, stagni, ecc. – il tempo in cui si svolgono le vicende è l’illud tempus, cioè, atemporale.  Tutti i personaggi sono immagini di processi archetipici e tutti gli aspetti irrazionali presenti non hanno a che fare con esseri umani ma con contenuti psichici.
Occorre dire che non tutte le storie possono pretendere di giocare il ruolo di fiaba dal momento che questa riveste una dimensione simbolica ed esistenziale vasta e complessa.
Le favole costituiscono un serbatoio di simboli cui attingere a piene mani, sia in Oriente sia in Occidente esiste, a tale proposito, una cospicua documentazione che comprende diverse forme di classificazione del loro ricchissimo materiale simbolico.
Una caratteristica delle fiabe consiste nella “visone del mondo” che, come dice L. Schmidt, consiste nell’affermazione di un’”altra realtà”, per cui quando entriamo in questo mondo “ci perdiamo in un intreccio di simboli e di immagini altamente significative, immagini che hanno in se stesse il proprio senso”. (in Biedermann Simboli, 1991).
Nell’ambito della psicologia, le fiabe sono utilizzate come test proiettivi, ne è un esempio il reattivo elaborato da L. Düss per la psicoanalisi infantile; consiste nell’iniziare un racconto lasciando al bambino la conclusione, questa opportunamente interpretata consente di individuare tratti patologici, sintomatici, e/o problematiche profonde.
Marie L. von Franz,  allieva e collaboratrice  di Jung, è stata una delle personalità di spicco che si è cimentata nello studio e nell’analisi delle fiabe (Le fiabe interpretate, 1969).
Altra figura universalmente riconosciuta, B. Bettelheim (Il mondo incantato,1977), uno dei massimi esperti di psicologia infantile, sottolinea l’atemporalità delle fiabe e la dimensione simbolica dove pericoli spaventevoli minacciano l’eroe ciò nonostante le difficoltà vengono superate, dove il male viene punito e la virtù riceve la sua ricompensa.
I personaggi che si muovono in questi scenari fantastici sono figure archetipiche che incarnano le tendenze contraddittorie del bambino, i membri della sua famiglia nei loro opposti aspetti, gli adulti del “mondo esterno”.
Sono state condotte diverse indagini sui temi delle Favole e sulla loro origine, vari ambiti di ricerca specialistica si sono occupati dei differenti aspetti inerenti i simboli contenuti nelle favole: etnologia (ad esempio van Genepp e Propp), storia delle religioni (le fiabe abbondano di motivi religiosi, molte storie bibliche, in effti, hanno la stessa natura), mitologia, antropologia e folkloristica (Thorms, Propp, Frazer), fino ad arrivare alla specifica area dedicata prevalentemente allo studio e alla indagine simbolica fiabesca.
E’ ovvio che tanta kermesse di studi e contributi ha comportato, e comporta, una molteplicità di interpretazioni, talvolta contrastanti, ma la psicologia psicoanalitica, sulle felici intuizioni di Jung, ha prodotto tanti studi cui va riconosciuto il merito di aver impresso una spinta notevole allargando l’interesse per il tema delle favole.
Più o meno come i simboli, le Fiabe portano nella loro architettura sia la dimensione consapevole sia quella inconscia e si possono leggere e comprendere a più livelli; qui se ne prenderanno in visione due:

Ø      lettura consapevole o primaria, la cui funzione è quella destinata a divertire, informare, far sognare,    fantasticare;
Ø    lettura inconscia o secondaria che fa riferimento al senso della vita, la cui funzione è il valore formativo e trasformativo delle esperienze
       (Corinne Morel, Dictionaire des symboles, des mythes et croyances,1994)
 Il bambino, attento alle vicende dell’eroe/eroina, nel complicato meccanismo della proiezione e della identificazione, ritrova sempre qualcosa che appare essere in rapporto con la propria storia.
Allo stesso modo di quanto avviene nel mito, il racconto funziona come uno specchio: tutto ciò che sconcerta il bambino, che lo angoscia, che lo preoccupa, che genera inquietudine, si ritrova espresso nell’eroe/eroina.
L’eroe, simbolicamente parlando, deve confrontarsi con i medesimi problemi del bambino, e il superamento e il trionfo offrono speranza, conforto, sempre.
Seguendo il discorso di Bettelheim, nel momento in cui il bambino assiste alla vittoria dell’eroe o dell’eroina, egli si rassicura circa il proprio destino, perché se gli eroi riescono a trovare delle soluzioni e a vincere tutti gli ostacoli, lui anche può fare lo stesso.
Nelle favole, va detto, il lieto fine è di grande importanza giacché la sua funzione è quella di rassicurare, dare conforto, apportare fiducia nelle capacità risolutive del bambino.
Assistendo alla riuscita vittoriosa dell'eroe (eroina), il bambino si convince che può farcela
a vincere le sue problematiche.
Occorre dire che il lieto fine non è assolutamente frutto del caso, dell’intervento magico, anche se possono esserci degli aiuti di natura magica, tuttavia è sempre la qualità dell’azione  intrapresa dall’eroe, la ricerca della soluzione, che rende possibile la vittoria.
E’ così che il bambino comprende, senza alcuna imposizione, il valore delle prove e della lotta, ed è per questo motivo che nelle fiabe c’è sempre un numero di prove da superare.
Il personaggio-eroe all’inizio si ritrova senza mezzi,  allontanato, escluso, eppure il coraggio e la volontà, gli sforzi e l’intelligenza lo condurranno a superare tutti gli ostacoli fino a conquistare la felicità.
Le fiabe sono in rapporto con la natura stessa della vita umana e il bambino capisce “che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell’esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso.” (B.Bettelheim, Il mondo incantato, pag. 14).
In altre parole il bambino è in grado di capire che la lotta, il lavoro di ricerca delle soluzioni, tendono al miglioramento della propria condizione. Il coraggio mostrato dall’eroe nell’affrontare le proprie paure, nel combattere il drago, o l’orco, o la strega, o il lupo, o altre difficoltà, non è altro che il simbolo della necessità di lottare di fronte a qualsiasi difficoltà e a non rassegnarsi perché questo vuol dire crescere e progredire, diventare più sereni, più forti, più felici.
Le favole, i miti, i racconti folkloristici si edificano su principi simili: le risposte sono all’interno di ogni individuo e non possono perciò venire che dal didentro;  per questo motivo le fiabe sollecitano a trovare da soli le soluzioni ai conflitti e ai disagi che ogni bambino vive dentro di sé.
A questo sono funzionali i personaggi delle fiabe, essi corrispondono alla psicologia infantile: non sono ambivalenti ma totalmente buoni o totalmente cattivi, e il tema centrale di tutte le favole è il trionfo del bene sul male, del buono sul cattivo; così, identificandosi con il buono – l’eroe - , il bambino cercherà di sviluppare e accrescere le qualità positive – coraggio, bontà, onestà, rispetto – anziché quelle negative.
Il bambino ha modo di riconoscersi nell’eroe anche quando questi mette in mostra la sua fragilità iniziale, perché il suo status trova facilmente un’eco in lui che spesso si sente frustrato, troppo piccolo, troppo debole. Perfino il bambino che può serenamente beneficare di un contesto familiare affettivo e materiale rassicurante prova una qualche angoscia.
Alcune cose gli sembrano insormontabili se non terrificanti come gli orchi, le streghe, le matrigne, le sorellastre, gli animali mostruosi; perché le favole pullulano di simboli diversi e molteplici, per questo motivo la cosa migliore da fare e leggerle per assimilare tutta la loro ricchezza.
Tuttavia alcuni temi sono ricorrenti e li ritroviamo in numerose storie.
Ecco alcuni tra i più popolari
1)     Orfanità dell’eroe: padre o madre – Biancaneve, Cenerentola, Biancaneve e Rosarossa, Vassilissa la bella – è la rappresentazione di ciò che il bambino prova frequentemente, parlo della terribile solitudine che lo invade (quando viene sgridato, o i genitori escono, o i compagni lo rifiutano); l’eroe incarna inoltre una delle più grandi angosce del bambino, vale a dire la paura di perdere i genitori e ritrovarsi a sua volta orfano.
2)     Eroe rifiutato  o abbandonato – Pollicino, Hansel e Gretel, Biancaneve – incarna per il bambino l’esclusione, l’emarginazione, di cui si sente vittima; l’eroe è la rappresentazione della sua angoscia: perdere l’amore dei suoi genitori o di essere da loro abbandonato.
3)     Foreste, boschi, luoghi ostili, nei quali si incontrano pericoli e nei quali gli eroi si perdono frequentemente: rappresentano i viluppi dell’esistenza, la vita stessa, con le sue incertezze e i suoi pericoli.
4)     Streghe, mostri, orchi, draghi: simboli dei personaggi che spaventano il bambino: i genitori quando lo sgridano, lo puniscono (si trasformano in mostri ai suoi occhi), anche i medici, le maestre, le figure autoritarie che possono terrorizzare – a torto o a ragione – il bambino. Ovviamente si parla del vissuto del bambino, non di minacce reali.
5)     Fate, maghi, creature prodigiose, animali dotati di parola, fanno eco al pensiero animista del bambino, alle sue credenze e al suo bisogno di fantastico
6)     Eroe cacciato/allontanato di casa: è la problematica del bambino, il quale per crescere e progredire deve lasciare la sua casa inteso in due sensi: a) reale, vale a dire andarsene per farsi una sua famiglia e una propria casa; b) figurato, andare a scuola, socializzare, avere attività al di fuori della propria casa.

Cappuccetto Rosso e la simbologia psicoanalitica

L’interpretazione psicoanalitica di questa favola si appoggia sull’approccio di Bruno Bettelheim (Il Mondo incantato).
La tematica centrale di Cappuccetto Rosso si basa principalmente sul conflitto tra desiderio e ragione. In termini psicoanalitici si parla di conflitto tra l’ES (le pulsioni) e l’IO (la realtà obiettiva).
L’ambivalenza  della bambina si riferisce a quella del bambino posto di fronte al problema di vivere in accordo con il principio di piacere o col principio di realtà.
La favola presenta una bella bambina cui è stata affidata una responsabilità: portare da mangiare alla nonna. Il peso della responsabilità, in rapporto all’immaturità della bambina, è significato dal diminutivo: Cappuccetto. La piccola è come il bambino a cui viene raccontata la storia: quale che sia la sua età, il suo problema è che è piccolo, cioè fragile. Le pulsioni, che costituiscono un simbolo dominante della storia, sono espresse attraverso il colore rosso. Il rosso effettivamente è il colore della vita, del desiderio, della sessualità e della libido.
E’ diffusa la convinzione, anche nel terzo millennio, che il bambino sia un tenero frugoletto che va tenuto all’oscuro e protetto dalle sozzure e inconvenienti della vita e mantenuto quanto più possibile nella bolla di sapone. In altre parole, il rifiuto a permettere al bambino di sapere che spesso gli “inciampi” e le “cadute” sono dovuti dalla nostra stessa natura, cioè alla nostra propensione ad agire in modo aggressivo, violento, ingordo, asociale, frequentemente spinti dall’ira, dalla rivalità e dall’ansia.
Sebbene si insista - preferendo fingere che il lato oscuro dell’uomo non esiste - a presentare l’immagine dell’uomo intrinsecamente buono, i bambini, che sono più vicini al mondo inconscio, “sanno” che non è così,  “sanno” di essere loro stessi crudeli, aggressivi, avidi,egoisti, niente affatto angelici. Così Cappuccetto Rosso non è la bambina paffutella, con le treccine bionde, dolce e ubbidiente, ella è anche trasgressiva, nutre desideri, ha pulsioni istintuali, e lotta contro la sproporzione di come è vista “fuori” e di come si sente “dentro”. I bambini sovente si sentono mostri ai loro stessi occhi e questa condizione li fa precipitare in stati di angoscia.
La bambina è divisa tra il suo desiderio di obbedire alla madre – non fermarsi lungo la strada, non parlare con il lupo – e il suo desiderio di scoprire il mondo – girellare, divertirsi, soddisfare la propria curiosità -. E’ qui il simbolo del conflitto tra l’ES e l’IO. E’ anche il simbolo del rapporto personale con i divieti, della scelta che si ripete continuamente tra rispetto e trasgressione. La forza delle pulsioni – e per riflesso la loro pericolosità – appare chiaramente nella storia. Poiché andare a zonzo, divertirsi, parlare a uno sconosciuto- Lupo- sono certamente desideri innocenti, nondimeno sono parzialmente pericolosi. Cedere ai propri desideri può talvolta mettere in una situazione di pericolo.
Ma le scelte di un bambino/na non dipendono da prese di posizione in favore del bene vs il male, ma da chi suscita il suo interesse, la sua curiosità, la sua simpatia o al contrario la sua antipatia.
Un personaggio buono è semplice, schietto, autentico, di contro quello malvagio è seduttore, subdolo, ambiguo, per il bambino, quindi, è più facile identificarsi con il buon eroe respingendo il cattivo; nell’identificazione con il personaggio buono non è la “bontà” in sé che attrae il bambino/na ma  è la condizione dell’eroe ad esercitare un forte richiamo positivo.
E’ tanto vero che il gatto con gli stivali è una favola amata dai bambini eppure l’eroe si assicura il successo attraverso la frode; è il discorso che si faceva qualche riga sopra: non c’è scelta fra il bene e il male, ma la simpatia verso l’eroe e la speranza che anche i più umili possono riuscire nella vita.  Talvolta la furbizia e l’astuzia spingono a venire fuori dall’anonimato. Poi ci sarà il confronto con l’Ombra e con questi aspetti della propria personalità.
Torniamo alla bambina con la mantellina e il cappuccio rosso.
Il lupo sono le tendenze egoistiche, asociali, violente, potenzialmente distruttive dell’ES.
La storia sottintende che il bambino ignora quanto può essere pericoloso cedere ai propri desideri che egli considera innocenti, e che, di conseguenza, deve imparare a essere cosciente di tali pericoli.
Per quanto l’ingenuità sia affascinante, è pericoloso rimanere ingenui per tutta la vita, e Cappuccetto Rosso è amata perché, nonostante sia virtuosa, si lascia tentare, ma anche perché la sua sorte ci dice che fidarsi delle buone intenzioni di chiunque, significa  in realtà esporsi a trappole.
Un’altra tematica importante è quella della fase edipica. In questa favola emerge prepotentemente l’assenza del padre: il padre non è rappresentato realmente, la storia non ne parla mai, tuttavia egli è presente simbolicamente: il lupo e il cacciatore. Qui si manifestano i due volti del padre:
° il padre seduttore – il lupo
° il padre protettore – il cacciatore.
Tra i diversi elementi quello che colpisce significativamente è il fatto che il lupo invita Cappuccetto Rosso nel letto della nonna.
Perché il lupo non divora subito Cappuccetto Rosso?
Perché la storia deve descrivere simbolicamente la situazione edipica. La storia riflette anche i desideri incestuosi del padre.  Il lupo – il padre seduttore – è pericoloso perché seduce la bambina per meglio abusarne.
Il cacciatore, di contro, impersona il padre protettore, ossia colui che salva la bambina e la nonna.
Secondo la lettura data da Bettelheim, il valore simbolico dell’apertura del ventre del lupo, rappresenterebbe la nascita col parto cesareo ed è come se, dopo aver subito la prova poi superata, la bambina vivesse una seconda nascita: quella che permette di diventare grandi e accedere all’adultità.

Il Lupo, animale da preda è stato considerato in Europa centrale, molto pericoloso, non meraviglia, quindi, che nelle favole esso costituisca la minaccia maggiore per gli uomini, che incarni l’immagine del nemico in forma animale e che i lupi vengano ritenuti esseri umani sanguinari che hanno subito una trasformazione (v. lupo mannaro ).
La parola, sia al maschile che al femminile, è sinonimo di violenza selvaggia e di licenziosità ( nozioni largamente usate a uso di regole morali ma molto sommarie).
La Lupa – non quella dantesca – è conosciuta come la nutrice di Romolo e Remo e come emblema della città Eterna. La comparsa di un Lupo prima di una battaglia, per i Romani poteva significare vittoria: esso apparteneva alla sfera cultuale del dio guerriero Marte.
Però il simbolismo del lupo, come d’altronde molti altri, ha un duplice aspetto: uno feroce, diabolico, satanico, l’altro benefico.
Il Lupo vede nel buio e per questo è simbolo di luce, tanto che presso le popolazioni nordiche e presso i Greci (attributo di Apollo Licio), questo è il suo significato.
L’aspetto luminoso del lupo ne fa un simbolo solare: nella antica mitologia germanica si narra che Fenrir (il grande lupo) venisse incatenato, nondimeno, nella battaglia finale riuscirà a spezzare le catene e divorerà il Sole (il padre di Odino l’ucciderà in duello venendo a sua volta ucciso).
Anche presso le popolazioni Mongole il lupo ha carattere luminoso e celeste, addirittura è l’antenato di Gengis Khan. La Cina riconosce nella stella Sirio il Lupo celeste guardiano del Palazzo celeste ( da noi conosciuto come Orsa Maggiore); questo ruolo di guardiano fa posto all’aspetto feroce dell’animale. In alcune regioni del Giappone lo si invocava come protettore  da altri animali selvaggi.
Il lupo è un ostacolo sulla via del pellegrino arabo; come non associare questo animale nell’aspetto femminile che si mette sulla via di Dante?
La voracità dell’animale si esprime attraverso il rapporto del lupo con il peccato e della lupa con la passione e con il desiderio sessuale.
Questo animale è anche una delle forme date a Zeus – Lykaios -  al quale si immolavano in sacrificio degli esseri umani nelle epoche in cui si praticava la magia agricola per mettere termine alla siccità e ai flagelli naturali. Zeus inviava allora la pioggia, rendeva fertili i campi, dirigeva i venti.
La gola del lupo nella mitologia scandinava è un simbolo di reintegrazione ciclica che accosta al lupo divoratore della quaglia (simbolo della luce) di cui parla il Rig Veda, in ciò in opposizione alla luce, la gola del lupo è la notte, la caverna, gli inferi; la liberazione dalla gola del lupo è l’aurora, come la luce iniziatica si rivela dopo la discesa agli inferi.
Sul simbolismo del lupo si dovrà ritornare perché non è esaurito in queste poche righe, certamente è uno stimolo ad ulteriori riflessioni e ricerche.

Dr.ssa Donatella Steck
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